La storia di Squillace

Le origini del Comune di Squillace

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Descrizione

Le sue origini si perdono nel lungo trascorrere del tempo, mentre la leggenda conferisce ad Ulisse la fondazione della città. Il Re di Itaca, mentre stava tornando a Troia, approda, dopo una tempesta, in una zona pianeggiante tra il fiume Corace e il fiume Alessi, qui avrà origine Squillace. Altre fonti storiche vedono in Menesteo il fondatore della città. Il primo nome che si conosce del comune è Skyllation, località che divenne un importante centro di comunicazione e un porto militare e commerciale di grande importanza. Il suo porto viene perfettamente descritto da Virgilio nell'Eneide: “....Hinc sinus Hercules si vera est fama Tarenti cernitur, attolit se diva Lacinia contra. Caulonisque arces et navifragum Scylaceum ..."

La città non riuscì mai ad essere autonoma, prima dipendente da Kroton, poi conquistata da Diocesi di Siracusa, fu sottoposta a Locrii. Alla fine della seconda guerra punica, fu conquistata da Roma, e, nel sito dell'antica città greca, venne successivamente organizzata come colonia romana. Tra il 123 ed il 122 a.C. la città greca di Skillation diventava la romana scolacium, il cui nome completo era “Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium”. Scolacium non venne costruita sopra la struttura greca ma accanto: la nuova città si presentava con la forma classica delle città romane con un cardo e un decumano con il foro, le terme, l'anfiteatro, il teatro gli acquedotti e i vari templi. Così la città perse il suo ruolo di porto militare e commerciale, ma divenne snodo fondamentale per la comunicazione viaria : un unico passo, di semplice accesso, tra la costa ionica e la costa tirrenica. Il passaggio di Spartaco, che con 60.000 ribelli saccheggiò il Bruttio, mettendo a ferro e fuoco Scolacium, la costrinse ad un successvio un recupero durato circa un secolo. Con l'avvento del Cristianesimo a Scolacium nel 71 d.C. , grazie all'intercessione del Vescovo di Regio Calabria, venne aperta una diocesi .

La Scolacium cristiana, con il passare degli anni si consolidò così tanto, da diventare guida delle diocesi calabresi.Cassiodoro e Squillace medioevaleLe coste calabresi, non più difese dalle legioni romane, vennero prese d'assalto dai Saraceni, costringendo gli abitanti delle coste a ritirarsi sulle colline circostanti : questo accadde anche a Scolacium, dove i suoi abitanti fondarono, a 15 km dal mare e su una collina di 360 m, Squillace. L'espansione della città, stimolata dalla diocesi, non si fece attendere, facendo rifiorire in Squillace il centro religioso di un tempo, incrementando il turismo grazie al bel clima e al paesaggio sublime. Squillace ha dato i natali in questo periodo ad un personaggio illustre in tutto il mondo, sicuramente il più illustre nella millenaria vita della "Calabria", Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, l'ultimo dei romani e il primo degli italiani. Cassiodoro, nato nel 485 d.C. a Squillace secondo il compilatore di quest'articolo, ma nel 480 secondo le fonti storiche. Gia da giovanissimo è “Consiliarius” del padre, il quale, esercitando allora la prefettura, divenne, forse, il primo maestro nell'arte del governo : sappiamo, infatti, che il suo genitore fu esemplare ed esperto funzionario di re Odoacre. Nel 507 entra nelle grazie di Teodorico ed è nominato Questore e Segretario del Re e viene insignito del titolo di Patrizio. Nel 514 è Console. Successivamente seguendo la tradizione di famiglia diventa "Corrector" del Bruttio e della Lucania.

Morto Teodorico l'impegno politico di Cassiodoro non viene certamente rallentato. Amalasunta prima, Atalarico dopo, pongono praticamente nelle mani di Cassiodoro il governo del regno. Nel 552  l'ultimo re goto, Teia, muore a Ravenna, le sue spoglie verranno portate a Costantinopoli ai piedi dell'imperatore Giusiniano che voleva assicurarsi della morte del suo acerrimo nemico.
Cassiodoro dovette partire in esilio verso la nuova capitale del mondo,Costantinopoli, dove accentuò il suo pensiero politico auspicando un'unione tra la cultura pagana e cristiana, tra la civiltà occidentale ed orientale. Giustiniano nel 554riuscì ad annettere, all'Impero Romano d'Oriente, l'Italia, che però mantenne gran parte della giurisdizione preesistente; si riscontra sicuramente la mano di Cassiodoro in questa scelta : per riuscire ad unire due mondi c'era bisogno di alcuni compromessi, e dell'assenza di conflitti. Cassiodoro, però, si rese conto che era solo una utopia unire le tradizioni Barbare con quelle Romane. Il nuovo equilibrio, dettato dalle armi bizantine, pose completamente fine all'illusione in cui Cassiodoro aveva lavorato tutta la vita. Decide così di ritirarsi dall'attività politica e di tornare in Italia; la sua nuova sede sarà la terra d'origine della sua famiglia: Scolacium. Il calabrese tornato nella sua terra natia è deciso a consacrare le sue energie alla pietà e allo studio. Verso l'anno 555, presso alcuni vivai fonda il Monastero di Vivario. Se nello sforzo politico di conciliazione e integrazione fra popolo romano e mondo goto aveva lanciato il coraggioso appello: “Audiat uterque populus quod amamus”, d'ora in poi dal Vivarium diffonderà lo stesso messaggio, però rivolgendosi non alla cerchia ristretta di due popoli, ma all'umanità intera: il suo ideale è diventato più nobile e universale, quanto più la cultura è superiore alla politica, e lo spirito alla materia. Cassiodoro non sarà più il ministro di un Re, un servitore dello Stato, un governatore o un diplomatico: diventerà ministro di un'altra potenza che ha per missione il dominio dello spirito, il santuario della coscienza, la difesa della verità per dirigere l'uomo al fine supremo per cui è stato creato.

Il cittadino di SquIllace comprende che non è l'integrazione tra Roma e i barbari che permetterà alla romanità di sopravvivere, ma la fusione della romanità con la Chiesa di Cristo, dall'armonizzazione della cultura profana con quella religiosa. Il Vivarium è una specie di “urbs religiosa”, "città religiosa", nella quale, sotto la guida di due superiori religiosi, oltre all'ideale della vita contemplativa, si cerca un'efficace conciliazione tra spirito e profano. Viene lasciata ai monaci la maggiore libertà nella preghiera e nella scelta degli interessi. In questo famoso cenobio, Cassiodoro istruiva i suoi monaci alla pietà con continui esercizi spirituali, allo studio delle lettere, e delle scienze sacre e profane, procurando di trasmetterle ai posteri col magistero dell'insegnamento e con il trascrivere codici dai calligrafi. Vi raccolse perciò i tesori della sapienza degli antichi, ed istituì una accademia di studi divini ed umani, simili a quella che ai giorni nostri, prende il nome di Università. L'ideale enciclopedico romano divenne cristiano: nasce così l'esigenza di una biblioteca che fu, per quei tempi estremamente completa, pagana e cristiana, latina e greca. La biblioteca era ricca di codici pregevolissimi, molto ben divisa e disposta secondo le varie scienze. Anzitutto c'era la Sacra Scrittura, accanto ad essa vi erano i 22 libri della Antichità Giudaica e centinaia di altri che trattavano di religione. La struttura fu arricchita di molti libri che trattavano di cosmografia, vi erano le opere di Giulio Oratore di Macellino Illirico, il famoso codice di Tolomeo. Seguivano le opere di filosofia e di agraria perché i monaci diventassero intelligenti agricoltori: sono ricordati i trattati di Marziale, del Columella e di Emiliano.

Per i monaci addetti alle cure mediche erano disponibili le opere di Ippocrate, di Aurelio Celio, la Terapeutica di Galeno e l'Erbario di Dioscoride. Non potevano sicuramente mancare diverse opere di Aristotele con la traduzione di Boezio. Dalle esigenze culturali e spirituali della comunità del Vivariense nasce la ricchissima produzione letteraria di Cassiodoro negli ultimi decenni della sua vita e trattasi di almeno 9 delle 13 o più opere da lui scritte. Grazie a lui possiamo conoscere come poteva essere la Squillace del tempo: ”Squillace la prima tra le città dei Brutti, che si crede sia stata fondata da Ulisse il distruttore di Troia... è posta nel golfo dell'Adriatico... sta come un grappolo d'uva sospeso ai colli; né si solleva in alto con erta malagevole, se non per osservare con piacere i campi verdeggianti e la cerulea superficie del mare…. Guarda il sole quando spunta sull'orizzonte, senza bisogno che l'aurora lo annunci; giacché non appena vibra i suoi primi raggi, tosto mostra tutto il suo luminoso disco. Essa mira Febo  che si rallegra di riflettere colà la chiarezza della sua luce; di che superando la stessa Rodi, con più di ragione può appellarsi la patria del sole...”.
Nascita e caduta del Principato di Squillace

Grazie alla sua posizione strategica Squillace continuava ad essere nel mirino dei Saraceni. Subiva ripetute incursioni, ed anzi, per un certo periodo fu dominata dagli Arabi, che ne fecero una temibile base militare. Dopo un breve dominio cadde sotto l'egemonia Normanna. La sua funzione strategica militare, già riconosciuta dai greci, venne confermata anche dai Normanni, che, nel 1044 vi costruirono un forte - castello, trasformandola in contea munita di insediamento.L'assedioNel periodo normanno, Ruggero volle cingere d'assedio Squillace, la quale era tenuta a presidio dei soldati, e contemporaneamente chiamare l'esercito di Blasio d'Alagona : il tentativo di assalto fallì, confermando ai Terrazzani di possedere una città ben difesa. Così, resisi conto di essere superiori in numer rispetto alle truppe del presidio, uscirono e s'allontanaro temerariamente per dare caccia ai nemici. Ruggiero di Loria, che invano si impegnava a combattere per la terra dal mare, fece sbarcare i soldati ed occupò quel luogo, tra i cittadini usciti del presidio della Città, e Blasio, che avendo ricevuto i rinforzi del Ruggero rinnovò la battaglia, trovandosi i Terrazzani chiusi in una morsa : fu una carneficina. Non vi fu casa in Squillace ove non fosse morto in quella giornata: dei soldati del presidio si salvarono pochissimi.

La città restò tanto spaventata al loro ritorno che Pietro Ruffo, Signore per antica nobiltà di sangue illustre, il quale pensando di vivere in pace non aveva previsto la possibilità di un lungo assedio. Pur i Terrazzani che l'amavano, lo confortarono promettendo di voler morire tutti sotto la bandiera sua, ma il buon Signore volle assicurarsi, per cui mandò emissari a Riggio per patteggiare con Re Federico, e così si promise che se fra quaranta giorni, l'esercito di Re Carlo non veniva a soccorrere, si sarebbe arreso.Le Casate, la Contea, il Principato e il MarchesatoSquillace passa prima a Roberto d'Angiò e poi ai conti Monfort, poi, per circa 150 anni, fu dominata dalla Signoria dei Marzano. Da Contea nel 1485 la città divenne Principato, di cui Federico I di Napoli d'Aragona ne fu re. Squillace, poi, grazie al matrimonio tra la figlia di re Federico e Goffredo Borgia, passa sotto la casata dei Borgia. La cittadina sperava che con l'avvento dei Borgia potesse tornare a splendere di luce propria; non fu così, e, nel 1630 un terremoto colpisce Squillace e le città vicine, nel 1648 una incursione Saracena ne accelera la crisi demografica e la decadenza. Dopo gli avvenimenti della prima metà del 1600, i Borgia abbandonarono Squillace alla desolazione, infatti, nel piano di ricostruzione, il castello, che dominava la zona, venne ristrutturato male, preferendovi la costruzione di un carcere. I Borgia che governeranno sino al 1730, impegnati a Roma, lasciarono Squillace alla famiglia De Gregorio che la tennero sino al 1802. Il principato venne ridotto a Marchesato, e, con l'avvento di pestilenze e di nuovi terremoti, il degrado fu inevitabile. Nel 1783, sotto l'impeto di un nuovo grande terremoto, Squillace vide crollare il suo castello e le sue mura : crollava così miseramente l'intera struttura feudale di un vecchio mondo in via di estinzione

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Pagina aggiornata il 26/03/2024